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Cooperative. L’intervista del Presidente Nazionale AAROI-EMAC a Doctor 33

Su Doctor33, l’intervista del Presidente Nazionale AAROI-EMAC, Alessandro Vergallo.

«Un medico ospedaliero costa alla sua ASL 80 mila euro lordi l’anno per il lavoro ordinario; nelle specializzazioni meno gravose per ritmi di lavoro, a parità di ore lavorate un medico di cooperativa costa 30 mila euro in più, e per giunta l’ospedale non può disporne per il lavoro straordinario a cui invece sono obbligati i dipendenti, come ad esempio le “pronte disponibilità” per le urgenze/emergenze, e che sono ancor più sottopagati. Inoltre, il medico di cooperativa decide in accordo con la stessa (e non con l’amministrazione né con il direttore del reparto) le ore che ritiene di voler lavorare. È tutto qui il segreto del boom delle coop negli ospedali pubblici: oltre 40 mila turni l’anno appaltati in Lombardia e Veneto, specie in Pronto soccorso e tra gli anestesisti come testimonia un articolo di Dataroom del Corsera.

Nello stesso articolo si apprende che i dati sull’impatto delle coop sono offerti solo da regioni del Nord. Manca un quadro nazionale. Che proviamo a tracciare, insieme ad un ritratto del fenomeno, con Alessandro Vergallo, presidente degli anestesisti rianimatori di Aaroi-Emac. «Il Servizio sanitario ancora ad inizio millennio impediva i contratti atipici negli ospedali pubblici», spiega Vergallo. «Il decreto legislativo 165 del 2001 all’articolo 36 vieta ancora per la dirigenza, medica e no, i contratti diversi dalla dipendenza stabilita nel contratto nazionale, come anche le leggi successive (dlgs 150/2011, dl 75 del 2017). Ma a partire dal 2008 l’ordinamento normativo ha reso Asl e ospedali enti “di natura privatistica”, e così tra l’altro anche la responsabilità erariale per la maggior spesa dovuta agli appalti di lavoro privato nel pubblico ha trovato il modo di essere elusa».

Dunque stop a cococo e contratti a progetto, obsoleti, ma non a partite Iva e coop. Come ci si arriva?
«La contrattazione nel pubblico impiego ospedaliero è stata al ribasso negli ultimi 14 anni, con adeguamenti stipendiali ad ogni rinnovo sempre inferiori all’inflazione, e quindi il lavoro dipendente si è fatto così poco attrattivo che i neo-specialisti non si presentano ai concorsi pubblici, e persino i medici più anziani si dimettono dal pubblico impiego, per lavorare come liberi professionisti anche e soprattutto negli ospedali pubblici. La volontà di risparmiare sul costo del lavoro dipendente ha fatto sì che per tenere aperti i reparti i manager dovessero rivolgersi a fornitori esterni pagando le stesse prestazioni a cifre molto più alte».

Perché le coop stanno prevalendo sugli ingaggi di singoli medici?
«Se un ospedale ha un reparto sguarnito di medici, la coop provvede ad organizzare tutto, e li offre già pronti a lavorare in base alle disponibilità orarie che essi stessi decidono, in tal modo sostituendosi a tutta la macchina anche amministrativa ospedaliera, che non si è rivelata in grado di gestire un simile puzzle in ogni reparto carente».

Perché è così appetibile la libera professione in un’attività sempre più di équipe?
«Per il lavoro “ordinario” il medico dipendente costa circa in media circa 99 mila euro, oneri riflessi compresi, garantendo per contratto almeno 1500 ore annue. La paga oraria del medico della coop si attesta fra 100 e 120 euro lordi l’ora; quindi, l’esborso annuale finale per ciascuna sostituzione di un medico dipendente con uno delle coop arriva nei reparti più impegnativi a 180 mila euro, in pratica il doppio. Ma i medici delle coop sono svincolati da tutta la mole di lavoro correlata alle esigenze di lavoro straordinario, lavoro che oltretutto -come nel caso delle pronte disponibilità – al medico dipendente è pagato ancora meno, e che soprattutto rende sempre più insostenibile la conciliazione con la vita privata. A conti fatti, il medico dipendente all’Asl costa alla fine 3,5 volte meno del medico libero professionista, che quando si affida alle coop riesce paradossalmente, se vuole lavorare di meno con un guadagno netto simile, ad avere molto più tempo libero e molto più benessere».

Il ricorso alla coop al Centro-Sud è meno diffuso?
«È stato più frequente a partire dal 2000 nel 118, dove in alcuni casi le remunerazioni pagate dagli enti pubblici sono avvenute come rimborsi spese, e sia le coop sia i percettori hanno eluso gli obblighi fiscali. Al Nord si è iniziato subito con l’ospedale e il fenomeno in pochi anni è diventato predominante; sussiste pure al Sud ma con dimensioni in apparenza molto diverse. Il sospetto è che però il fenomeno sia monitorato veramente solo al Nord».

Il medico della coop è un privato puro o ha anche inquadramenti nel privato convenzionato o nel pubblico?
«Per i medici ospedalieri pubblici dipendenti in intramoenia la libera professione svolta al di fuori dell’ospedale è sempre incompatibile, mentre per quelli in extramoenia è comunque impedita (o perlomeno così è per legge) qualora e laddove essa si ponga in concorrenza o in alternativa all’ospedale, fatte salve le possibilità di svolgerla negli ambulatori privati. Per i medici ospedalieri dipendenti del settore privato valgono in sostanza le medesime considerazioni, che invece sono completamente diverse per i medici liberi professionisti, dato che costoro non hanno alcun vincolo, potendo anche violare ogni disposizione di legge relativa p. es. ai riposi “europei” tra un turno di lavoro e l’altro a cui da un certo punto di vista sono obbligati e dall’altro sono tutelati i medici pubblici dipendenti. L’intero panorama delle partite iva, anche e soprattutto laddove e allorquando è gestito attraverso le coop, è diventato un vero far west, e non solo per quanto concerne le retribuzioni. Basti considerare che finalmente i Nas hanno accertato casi di medici reclutati da ospedali pubblici attraverso le coop senza titolo di specialità!».

È davvero il rimedio incentivare l’attività extra oraria del dirigente alzando il compenso da 60 a 100 euro?
«Non è la soluzione unica, ma è indispensabile. Alla fine, l’azienda risparmia. Il compenso di 60 euro lordi orari è nato quando ancora c’erano le lire e prima della riforma Bindi e non è mai cresciuto, mentre oggi da contratto un’ora di attività ordinaria è pagata in media circa 66 euro lordi. All’ultima trattativa contrattuale del 2019 chiedemmo alle regioni di lasciare il minimo di 60 euro ma innalzando le tariffe fino a 80-100 euro orari, in modo da scoraggiare dimissioni di massa dal pubblico impiego che avrebbero portato (come poi si è visto) ad ingrassare le cooperative; all’epoca non ci ascoltarono, per poi doversi correre ai ripari portandole precipitosamente per legge pochi mesi dopo a queste stesse cifre a causa dell’emergenza covid. Ne riparleremo alla trattativa per il prossimo contratto con l’Aran».

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