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Aree contrattuali: un successo sindacale

ORA CHIEDIAMO ADEGUATI FINANZIAMENTI PER I NUOVI CONTRATTI

Il via libera del Governo alle aree negoziali è un importante successo sindacale – commenta il Segretario Generale COSMED, Giorgio Cavallero – costato anni di lavoro. Siamo riusciti a mantenere l’autonomia della sanità, che avrà un contratto separato rispetto ai restanti settori del pubblico impiego, Scuola, Stato, Enti locali, e non dovrà omogeneizzare contratti diversi, a differenza delle altre aree. Grazie alle nuove aree la rappresentanza sindacale, oggi troppo frammentata rispetto alla gravità del momento, sarà semplificata.

L’approvazione del Governo giunge alla vigilia dei ballottaggi. Se fosse un calcolo politico, significherebbe che il Governo si è accorto dell’esistenza di oltre tre milioni di dipendenti pubblici che hanno sostenuto il peso economico della crisi e che sono senza contratto dal 2009.
Tuttavia, la situazione generale e l’entità degli aumenti contrattuali ad oggi prevedibili non lasciano spazi a particolari entusiasmi.

La pubblica amministrazione dal 2010 ha perso oltre 300.000 posti di lavoro, con un calo del monte salari (cioè le retribuzioni lorde complessive) di 10,8 miliardi di euro ed i precari, oltre 100.000, in crescita costante. I tagli al salario accessorio rendono gli stipendi attuali perfino più bassi di 6 anni fa. Malgrado numero e retribuzioni medie dei dipendenti pubblici in Italia siano tra i più bassi dei Paesi Ocse, per il pubblico impiego, oggetto di leggi speciali punitive rispetto al privato, in materia previdenziale e perfino fiscale, la crisi non finisce mai.

L’aumento economico proposto per il triennio 2016-18 è pari a 6 euro medi netti al mese, dopo che sono stati cancellati i contratti precedenti senza recupero economico, nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale. Il finanziamento, risibile e provocatorio, in realtà è una scelta politica. Nei prossimi anni la pubblica amministrazione si ridurrà ancora di numero per il blocco del turnover e gli inevitabili pensionamenti che riprenderanno con ritmo regolare dopo il blocco della “legge Fornero”. All’interno del sistema si libereranno molte risorse come mai è avvenuto, ma i Governi dell’ ultimo decennio hanno destinato i cospicui risparmi (10,8 miliardi annui per gli stipendi e oltre 30 miliardi per le pensioni) per sostenere ii settori privati. Per questo la questione è strettamente politica, esistendo un pregiudizio ideologico contro il lavoro pubblico, e la volontà di ridurre ulteriormente servizi e dipendenti pubblici in favore del privato. Poco importa se oltre 11 milioni di italiani rinunciano alle cure sanitarie, razionate come non mai, e che la vita media nel 2015 si è ridotta, cosa che non accadeva dalla seconda guerra mondiale.

Dopo decenni di privatizzazioni disastrose sarebbe ora di ripensare al modello di sviluppo e uscire dallo slogan ormai retorico “meno Stato e più privato”. A cominciare dalla prossima legge di stabilità, occorre recuperare i valori di fondo del servizio pubblico oggetto di un attacco senza precedenti, per evitare declino e residualità.

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